Il paziente che arriva in analisi porta la sua sofferenza e il suo dolore, insieme alla domanda di guarigione, ad una speranza di rinascita. La prima è tangibile, si ascolta, si osserva, si tocca, molto spesso si “sente”. La seconda è mimetizzata e mitizzata: le domande di guarigione sono spesso richieste di anestetizzazione della sofferenza, un miracoloso ritorno al “tutto come prima”, in modo che il sintomo scompaia e il dolore passi, “tutto, purché non debba mettere niente in discussione..”. Richieste che non lasciano spazio alla necessaria trasformazione di un processo di guarigione.
Lo scopo dell’analisi al contrario è aiutare il paziente ad attivarsi, a responsabilizzarsi, a compiere in autonomia le sue scelte; per guarire bisogna essere disposti a cambiare, ad affrontare la crisi, a separarsi dalle situazioni distruttive che ci trasciniamo dietro. La separazione implica una rinuncia, un abbandono e farlo non è semplice né scontato, implica un vissuto di perdita, una forte angoscia.
“Perché noi non perdiamo solo attraverso la morte, ma anche abbandonando o venendo abbandonati, cambiando e lasciando andar via e facendo andar via. E le nostre perdite non includono solo le separazioni e i distacchi da coloro che amiamo, ma anche le perdite consce e inconsce dei nostri sogni romantici, delle aspirazioni impossibili, delle illusioni di libertà e potere, delle illusioni di sicurezza, e la perdita del nostro io degli anni giovanili, quell’io che pensava di poter restare intatto e invulnerabile e immortale.” (J. Viorst)
Se consideriamo il sintomo come un virus che ha infettato il corpo ospitante, dimenticandoci che è portatore di messaggi simbolici e sganciandolo completamente dal linguaggio della psiche, ci dovremmo limitare a espellerlo né più né meno di come farebbe un medico nella cura di una tonsillite: “antibiotico per 5 giorni e se non passa ci rivediamo!”. Si otterrebbe una scissione tra il corpo che si è fatto carico del “male” e la psiche che continuerebbe a stare bella tranquilla nell’illusione che a lei quel “male” non riguardi, amplificando così il divario tra i due mondi in un circolo vizioso che vede il corpo e la mente rincorrersi per non incontrarsi mai.
E come mai è così complesso occuparci di questo “male”? Perché vorremmo estirparlo come se fosse un’erbaccia in un bel prato all’inglese? Come mai ci dimentichiamo che quel corpo infetto è il nostro? Perché non permettiamo al linguaggio della psiche di comunicare con il “male” nel corpo? Perché ci spaventa che l’una e l’altro si incontrino? Cosa potrebbe accadere se in questo incontro si ri-conoscono?
Nella mia pratica clinica mi confronto quotidianamente con questi interrogativi, a volte con passione, altre volte con grande fatica nel vedere quanto sia complesso attivare il processo trasformativo dei miei pazienti, nel viverlo insieme a loro.
Penso che una delle difficoltà di sentire e vivere l’unione di mente e corpo nasca dalla complessità di riconoscere lo strappo, di stare nel distacco, di affrontare la separazione. Se vivo una e l’altro come due entità separate non sono chiamato a mettere in discussione nulla della mia vita, non devo attraversare il cambiamento, posso limitarmi a mettere una toppa se la ferita è nel corpo o riportare il silenzio se il “grido” proviene dall’anima, senza però necessariamente affrontare il processo trasformativo.
La vita invece nasce grazie ad un distacco, ad una crisi: il cordone ombelicale che legava il neonato alla madre viene reciso, il bambino si separa dal riparo offerto all’interno del corpo materno. E’ un taglio netto, una ferita, senza la quale però non ci sarebbe la vita. C’è gioia per questa nuova vita e contemporaneamente dolore per la perdita dell’unione totale con il figlio, ma non si torna indietro, il “tutto come prima” non è ormai possibile.
Allo stesso modo quel “tutto come prima” speranzoso di molti pazienti è un’illusione, dobbiamo accogliere il cambiamento per superare le difficoltà, esplorare i “mondi possibili”, le esistenze potenziali che incontra il bambino una volta nato.
Le esperienze di perdita che dobbiamo affrontare nella vita aprono all’incontro di nuove realtà possibili, riuscire a vedere un blocco, un ostacolo, è l’inizio del processo di cambiamento e l’analisi permette gradualmente di avvicinare la resistenza, la paura del cambiamento, di entrare in dialogo con questa paura per attivare un desiderio autentico di guarigione, dove mente e corpo nel ri-trovarsi si ri-conoscono e dove la ferita del corpo e il grido dell’anima nella trasformazione ri-nascono a nuova vita.